Intervista a Mattia Barro de “L’Orso”

Ormai parlare di gruppo rivelazione appare inappropriato. Pare invece decisamente più adeguato scrivere de l’Orso come attesa conferma discografica, conferma che si è concretizzata con l’ultimo singolo Giorni Migliori, che su iTunes è schizzato al primo posto della classifica per i singoli alternativi. Ed è sul tramontare del 2014 che ho avuto l’occasione di fare due chiacchiere a trecentosessanta gradi con Mattia Barro, voce e mente de l’Orso, a due mesi dall’uscita del secondo disco “Ho messo la sveglia per la rivoluzione”.
(aggiornamento: il disco è uscito oggi ed è disponibile per il download su: https://itunes.apple.com/it/album/ho-messo-la-sveglia-per-la/id954462794 )

Il vostro nuovo singolo, Giorni Migliori, è stato un successo, soprattutto per una band “indie” e credo, per quello che ho visto, che il passaparola tra i fan sia stato molto importante per questo risultato, dico bene?

Sì, assolutamente, abbiamo la fortuna di avere una fanbase composta da tante persone che si vogliono bene, sembra di essere tornati un po’ agli anni 90’, dove usi il passaparola per condividere delle cose che ti fanno stare bene, quel passaparola che un tempo usava come mezzo le audiocassette e che oggi utilizza internet. Io credo che questa sia una grande vittoria.

Ha certamente aiutato anche la promozione fatta dai vostri amici di etichetta della Garrincha. Cosa significa per te fare parte di questa famiglia allargata?

Io ci ho messo un po’ a entrare in questo nucleo familiare, siccome sono una persona un po’ diffidente in partenza, ma poi in realtà non ci è voluto molto a capire l’onestà di questo fantastico gruppo. Ci ha legato molto il collaborare e il condividere lo stesso palco con altri artisti della Garrincha. Secondo me c’è un clima da etichetta rap, c’è uno sprone reciproco e tutti cercano di spingere tutti gli altri, perché si è capito che se l’obiettivo lo si spinge tutti assieme, lo si raggiunge più facilmente.

Con nuovi elementi all’interno della band cambierà anche il vostro sound? In Giorni migliori, Quello che manca e Lui e Lei, le vostre tre canzoni più recenti, la virata sull’elettronica pare evidente. Cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo album?

Sono tre pezzi molto diversi, ad esempio Giorni Migliori è un brano pop semplice ma non banale: in Italia c’è la convinzione che se fai un pezzo semplice non ti sei impegnato, ma secondo me non è facile produrre qualcosa di semplice, tenere un brano nella sua semplicità iniziale è qualcosa di difficile.

Abbiamo parlato di Giorni Migliori, soffermiamoci per un istante sul videoclip, dove vi siete recati nelle piazze principali di varie città italiane, offrendo abbracci, da bendati, ai passanti. Perché quest’idea?

L’abbraccio deriva dal fatto che era la cosa più semplice da fare, e noi volevamo ripartire dalle cose più semplici. L’idea dell’essere bendati deriva dal fatto che non volevamo essere condizionati dall’aspetto delle persone.

Dal presente ed il futuro, al passato: qual è il momento più bello che hai vissuto durante la prima fase de L’Orso?

Penso sicuramente quello a teatro. Abbiamo fatto un concerto a teatro con l’orchestra, dove abbiamo dovuto insegnare a 30 persone come fare i nostri brani, abbiamo fatto tutto il lavoro possibile attorno al progetto, è stato un lavoro enorme rispetto a quello che eravamo. Abbiamo anche voluto dimostrare che in Italia le cose si possono fare autonomamente, senza andare a pregare altre persone.

C’è una canzone alla quale sei particolarmente affezionato?
Sicuramente “Di chi ti ricordi”, un pezzo un po’ in ombra dal nostro terzo EP “La Domenica”, perché è il primo pezzo dove ho parlato di un fatto della mia adolescenza senza romanzare. Sono stato diretto.

La tua canzone che ti piace meno?
“Ottobre come settembre”, significa tanto per l’Orso ma poco per me, mi sembra una canzone molto ingenua in certe cose, infatti live faccio molti cambiamenti, perché nella mia mente è cambiata da quando l’ho scritta.

Recentemente i ragazzi dello Stato Sociale hanno ricevuto critiche dai fan della scena indie più “puristi”, di essersi venduti, e quindi di non essere più poi così interessanti. Cosa ne pensi? Temi che in futuro la stessa cosa possa succedere a voi?

Penso che i fan della scena indie se si autodeterminano così, dovrebbero smetterla. Di base c’è questa idea di dover far parte di un qualcosa di piccolo ed esclusivo, e questo a mio avviso è l’antiascoltatore. In certi ambienti c’è questa idea di dover tenere le cose piccole piccole. C’è la paura di venire esclusi dalla propria esclusività. Il problema è che quando una band indie diventa grande, gli ascoltatori smettono di sentirsi speciali.

Personal Statement

Sempre più spesso sento persone che si domandano come scrivere il proprio personal statement per iscriversi ad un’università inglese. Lascio il mio come esempio per chi ne avesse bisogno. Per ora 4 delle 5 università a cui avevo fatto richiesta (Sussex, Goldsmiths, Westminster e Bournemouth) mi hanno offerto un posto, in attesa di Birmigham City.

“I firmly believe that in life you must be able to construct a solid and personal point of view about as many topics as possible and, of course, being able to motivate it. This is the reason I chose to apply for your Media and Communications course, as I consider your University the right University for my future. My interest in world communications was born four years ago, while writing my first article for my monthly high school magazine called “Il Cassinista”. It was about Beatles’ influence on today’s music, a really overused thematic, but good enough to stimulate me to put pen to paper (in my case to put fingers to keyboard) for the first time. Since then, I began to collaborate more actively with the magazine, becoming, in two years, at first the layout artist and, after that, the editor in chief. This experience is still helping me to significantly improve some relevant competences, like leadership and teamworking, deriving from the coordination of an editorial staff of twenty people. It is also helping me to relate well with others in a good and positive way, which comes from the search for sponsors in order to print the magazine and, certainly, is giving me good writing skills. In May 2013 “Il Cassinista” was also awarded in Chianciano Terme as one of the best school magazines in Italy, being also recognized as the only one entirely managed by students, without professors’ contribution. However I did not stop at that: I collaborated with numerous media, like “Il Secolo XIX” and “La Repubblica”, two of the main Italian newspapers, and with many radio stations. In order to prove to myself that a media-related job is the one for me, in 2013 I worked for two months for “Calcionews24″, an online football magazine, studying during the day and working in the evening. To improve my skills I attended various periods of traineeships in the last four years. These experiences gave me an idea of how media world works, with its deadlines, its strengths and its weaknesses. What I expect to find in your University is an open-minded environment, far from the classic courses in Media or Journalism available in Italy, capable of giving me important skills for my career and for my personal life. I am very interested about how the new media changed the way in which information is passed on in this century and, to learn more about this topic I attended many lectures, some of them in English. Another matter that fascinates me is the debate about the web-journalism: if one is given the choice, is it better to publish a prompt but incomplete news or a complete but later one? My secondary school has allowed me to study several subjects, such as Italian, English, Latin, Mathematics, Physics, Chemistry, Philosophy and History. At school I mainly studied English literature but, being very curious about other cultures, and always knowing I wanted to go to university in England, I also studied English by myself, and attended different language courses. Then, I prepared my IELTS exam in six months, which I passed with an overall score of 7 out of 9. In my spare time I like travelling, writing – I am currently finishing my first novel – and playing guitar and piano in order to compose songs. Thanks to my travels I have obtained good adaptive abilities that surely will help me to live abroad and adept to new cultures and environments. In the end, I think that this could be a very good opportunity for me, one that could give me great chances to become a successful journalist, and, over all, which gives me the possibility to follow my way of life: learning from as many sources as I can.”

Luca Pizzimenti

Intervista con il professor Costa, coordinatore del corso di studi in Scienze dei Materiali

Quali sono i requisiti per studiare Scienze dei materiali?

Per Scienze dei Materiali il requisito più importante è essere curiosi. Curiosi di come si fanno le cose, come si possono migliorare, avere la volontà di scoprire cosa si nasconde dietro un oggetto. Il nostro corso all’Università di Genova è improntato su di un approccio che collega idealmente la chimica e la fisica. Sono previsti test di ingresso, che servono a capire quale studente abbia bisogno di aiuto nelle materie scientifiche per poterlo assistere nei suoi primi mesi all’Università.

Come si articola durante gli anni il corso di laurea di Scienze dei Materiali?

Il corso complessivo prevede una laurea triennale e poi una laurea magistrale di due anni, Chi volesse ha la possibilità di seguire un dottorato. La laurea triennale è piuttosto dura sotto il profilo degli studi: infatti inizialmente si curano le basi matematiche più importanti, aggiungendo in breve tempo fisica e chimica, in un quadro piuttosto rigido in quanto a scelta degli argomenti da trattare: lasciando maggiore scelta non si farebbe altro che disorientare gli studenti.

Quali possono essere gli sbocchi professionali per questo percorso di studi?

A livello triennale si ottiene una figura in grado di mediare perfettamente tra scienziati di campo fisico, chimico e matematico. E’ un prototipo professionale nuovo, più che una via di mezzo tra le tre tipologie di scienziate.
Invece, lo scienziato di materiali a livello magistrale,può trovare impiego negli enti di ricerca, perché ha nozioni di materialistica e di ingegneria dei materiali, quindi sa anche come modificarli e come trattarli, sia dal punto di vista ingegneristico, sia dal punto di vista chimico. Una parte importante è il lavoro in industria, a tal punto che alcuni studenti hanno deciso di basare la loro tesi proprio su di esso.
Scienze dei Materiali offre anche percorsi internazionali, ad esempio SERPchem si rivolge anche al di là dell’Europa, è un Erasmus Mundus, che consente di effettuare un master di due anni tra Polonia, Italia, Francia e Portogallo, per approfondire i vari aspetti di scienze dei materiali.

Qual è l’offerta da parte del mercato del lavoro per lo scienziato di materiali?

Occorre innanzitutto fare una distinzione tra laurea triennale e magistrale. In generale, per la prima, inizialmente, capitava spesso che le persone che iniziavano il corso nel frattempo trovassero un lavoro e terminassero il loro percorso di studi successivamente. Per la magistrale invece il discorso è diverso, perché si ricercano espressamente le loro competenze e, coloro che cercano seriamente un lavoro, riescono a trovarlo, mediamente, in sei mesi.

Un augurio per i lettori di Zai.net che in questi mesi stanno scegliendo il percorso per il proprio futuro.

Di seguire il cuore, di fare quello che piace, applicandosi ed impegnandosi al massimo in ciò che si ama e si è in grado di fare bene e con talento.

Luca Pizzimenti

Silent Bay Studios: dalla Liguria agli smartphone (e ai computer) di tutto il mondo

Nati nel 2004 nella Baia del Silenzio di Sestri Levante,  in pochi anni i ragazzi dei Silent Bay Studios sono riusciti a diventare leader nel settore dei videogiochi casual per pc e dispositivi mobili, grazie ad una politica di investimenti mirati ad offrire prodotti di qualità a prezzi moderati. Uno dei loro giochi più recenti, Rail Rush, ha già totalizzato 50 milioni di download in tutto il mondo. E continua ad essere tra i più scaricati.

E’ un clima atipico quello che si respira nei Silent Bay Studios. Un clima molto distante dal cliché del lavoro in azienda: disteso, rilassato e scherzoso ma, allo stesso tempo, impegnato. Una lavagna bianca colma di scadenze scandisce il lavoro dei ragazzi: la maggior parte di esse riguardano la loro opera che ha avuto più risalto fino ad ora,  ovvero Rail Rush, che è stato un successo di scala globale.  Infatti, tra le varie piattaforme sulle quali è stato lanciato, stando al sito apptweak.com, a più di un anno dall’uscita è ancora tra le 300 app più scaricate ogni giorno in tutto il mondo su mobile. 

La storia dei Silent Bay Studios è iniziata nel 2004, con un budget pressoché nullo ed uno staff di sole quattro persone; i primi lavori consistevano in giochi fruibili gratuitamente sul web che ebbero un successo piuttosto rilevante, per via degli alti standard qualitativi offerti ad un prezzo contenuto. Questa pratica ha permesso all’azienda di farsi un nome di spicco nel settore, a tal punto che Leonardo Montecamozzo, general manager e socio fondatore dell’azienda, confessa:«Non abbiamo mai avuto un ufficio marketing, in quanto abbiamo sempre avuto molte richieste di lavoro, così abbiamo deciso di reinvestire il budget destinato alla promozione nel miglioramento della qualità dei nostri giochi. Inizialmente, a causa di questa pratica poteva capitare che le spese superassero i guadagni ma, con il senno di poi, questa si è rivelata una scelta azzeccata».
Sulla stessa linea d’onda il creative director Paolo Daolio, anch’egli socio fondatore degli studios: «Grazie a questa politica di investimenti siamo riusciti a raggiungere traguardi che ancora oggi ci riempiono di orgoglio: abbiamo lavorato, ad esempio, per società come Disney, Pixar e partecipato a molti progetti per l’Unione Europea. Per noi questo è un traguardo importante, specie se si pensa che il nostro team è composto da venti persone con un’età media che si aggira intorno ai trent’anni».  Ed è proprio parlando di traguardi che Daolio e Montecamozzo si rivelano «moderatamente ottimisti» riguardo al futuro, siccome: «Nonostante il mercato dei videogiochi web stia lentamente morendo, quello mobile sta crescendo a dismisura». Una crescita che si sta però rivelando difficile da seguire per i ragazzi di Silent Bay Studios, che sono alla ricerca di nuovo personale, anche privo di esperienze lavorative pregresse, ma con una profonda passione per i videogiochi: «In un periodo di crisi come questo suona un po’ strano che si offrano posti di lavoro ma non si riesca ad avere una risposta adeguata in termini numerici. Cerchiamo varie figure, tra cui game designer e programmatori, per allargare la nostra famiglia», conclude Leonardo Montecamozzo.

Intanto, se volete toccare con mano il frutto di un lavoro videoludico “made in Liguria”, visitate il sito www.silentbaystudios.com

Luca Pizzimenti

EGO – Racconto breve.

Cammino con passo frettoloso tra una pozzanghera e l’altra, devo essere rapido. Non ha ancora finito di piovere. Le gocce che penetrano tra le fronde degli alberi colpiscono rabbiosamente il terreno ed accrescono le già grandi pozze d’acqua, che da sempre mi inquietano, sin da quando ero bambino. Tutt’ora le immagino come un piccolo universo parallelo, che si trova proprio lì, subito accanto ai miei piedi. Non conosce catastrofe peggiore di un periodo di scarse precipitazioni, senza acqua quel piccolo mondo ideale si ridurrebbe inesorabilmente, fino ad evaporare completamente. Essendo a conoscenza di tutto ciò porgo sempre molta attenzione a non calpestare le pozzanghere. Ma sono un codardo, io le rispetto perché ho paura di una loro vendetta, di una loro rivalsa. Non provo né rispetto né compassione. Sono solo un vigliacco, un insicuro. Insicuro almeno tanto quanto lo è quel piccolo arbusto, a destra di questo viale che non sembra finire mai. Si nasconde sotto la folta chioma di un abete che, con fare a metà tra il materno e l’egoistico, dapprima lo protegge dai raggi del sole e dalla pioggia, ma poi gli tarpa le ali, impedendogli di crescere, tenendolo così tanto sotto la propria protezione fino a soffocarlo.
Allungo il passo. Sento di dovermi sbrigare. Sono agitato.
Smette di piovere e spunta un timido raggio di sole, che cade precisamente sopra ad un fiore posto in mezzo alla strada, posizione certamente inusuale;  ha degli splendidi petali che formano un esagono magicamente irregolare. Sono rossi, rossi come il fuoco, il piccolo fascio di luce valorizza appieno il loro colore sgargiante, che cattura la mia attenzione e mi fa rallentare per qualche istante. E’ la cosa più bella che abbia mai visto, non credevo che la natura fosse capace di tanto. Sono in contemplazione. Mi fermo. Ciondolo, mi concentro sulle minuscole particelle messe in evidenza dalla luce  solare, sono magnifiche. Sono a contatto con l’infinito? Non riesco a pensare che quei piccoli puntini, visibili solo controluce, si possano contare. Che cosa sono? Le anime dei morti? No, troppo spirituale e fatato, non credo alla vita dopo la morte. E se fossero davvero semplici e banalissimi corpuscoli infinitesimali? La ragione mi porta a ritenere corretta quest’ultima ipotesi, ma un fenomeno così incantevole non può essere totalmente razionale, logico, conoscibile, terrestre. Almeno, non ora, non in questo momento di estasi. Sento gli uccellini che cinguettano, mentre una piccola corrente calda culla il mio corpo e la mia mente. E’ una sensazione strana, non l’ho mai provata prima d’ora. Vorrei rimanere qui per sempre. E’ un sogno, un’esperienza onirica, una fusione con la natura. Ed io che ho sempre odiato i farneticamenti pseudo bucolici di Leopardi. Inizio a capire cosa provasse a stare seduto dietro ad una siepe. Che stupido sono stato a non dargli credito, a criticarlo solo per il gusto di farlo. E così ecco una delle mie tante, innumerevoli, troppe contraddizioni che viene allo scoperto. E non riesco mai a capire se queste contraddizioni siano dovute ad una mia qualche turba mentale o alla mia maturazione come persona. Probabilmente non giungerò mai ad una conclusione.
 All’improvviso, un rumore secco e grave distrugge il mio piccolo paradiso terrestre. Assomiglia quasi ad uno sparo, ma non è uno sparo, non può esserlo, mi trovo nell’unico parco di questa città così maledettamente grigia e cibernetica. Frenesia è il suo nome, popolata da figuri sempre di fretta che vedi tutti i giorni, ma dei quali non riesci mai a fissare bene in mente il volto da quanto sfrecciano sul marciapiede. Scavo in profondità nella mia mente per individuare la causa di quel rumore, salvo poi scoprire che si trova a pochi metri da me, fuori dalla mia mente, in quel mondo fisico che troppo spesso ho rifiutato e bollato come inutile, schifoso ed inadatto.

 Per l’esattezza, la causa del rumore è un poco fotogenico ramoscello caduto, evidentemente spezzatosi dopo l’urto con il terreno. Verifico immediatamente che non abbia colpito una pozzanghera, quindi lo raccolgo. Sì, oltre a temerle, sono anche lecchino e adulatore nei loro confronti. Spero che il comportarmi sempre bene con esse possa proteggermi in futuro da un qualcosa di cui non so neanche io bene di cosa si tratti, un’inquietudine apparentemente passeggera che mi accompagna da tutta la vita.  Osservo il pezzetto di legno. Mi contraddico ancora: ad un esame più vicino noto le delicate linee che lo avvolgono, rendendolo una pregiata opera d’arte plasmata dalle mani della natura. Sogghigno, mi chiedo se la natura possa davvero possedere delle mani. Poi però scendo più nel profondo e mi incupisco, mi intristisco a pensare al maledetto destino che è stato riservato a questo povero ramoscello, la cui unica colpa era di essere più piccolo degli altri. Spazzato via dal vento senza pietà, che cattiveria. E così successe a me, nei miei ultimi anni di attività. Vedevo che venivo trascinato via dallo scorrere del progresso, travolto dai più giovani che riuscivano ad essere migliori di me in tutto. Ero proprio inutile, come questo sventurato rametto che stringo tra le mie mani rugose macchiate dalla nicotina. Ero depresso e insignificante, come uno dei sassolini immersi in questo mare di ghiaia. Insieme alla giovinezza è volata via anche la mia brillantezza.  Ha ripreso a piovere. La pioggia non va mai via per sempre, puoi soffiare contro le nuvole quanto vuoi, ma non riuscirai mai a spostarle. Questa immagine forse è il simbolo della mia lotta solitaria per la sopravvivenza in un mondo che non ha più niente da dare ad un vecchio che non ha più nulla da dire. Fisso per un ultima volta il cielo da dietro le nuvole, poi chiudo gli occhi. Mi accascio dolcemente a terra. Ero bello e famoso, un artista, un mito, un idolo, un esempio per molti. Ero una persona importante. Con il mio dito riuscivo a controllare decine di migliaia di persone da sopra un palco. Avevo i soldi e la gloria, tutto quello che avevo sempre desiderato. Ciò nonostante sentivo sempre che mancava qualcosa, un qualcosa che mi rendeva perennemente insoddisfatto. E ora, dopo aver dato un’ultima occhiata a questo mondo, forse ho finalmente capito che cosa mi avrebbe reso felice davvero. Mi salta alla mente il mio sogno ricorrente. Ci sono io, su di una sdraio posta su di un ideale prato verde sconfinato, che si interrompe solo al limitare dell’orizzonte. Sono intento a parlare con una persona sconosciuta. Non ho mai capito chi fosse, ma è l’unica persona che mi faccia sentire felice. Purtroppo non sono mai riuscito a vederla in faccia, perché mi svegliavo sempre prima che si degnasse di volgere il suo sguardo verso di me. Ma non questa volta. L’ho visto, finalmente lo ho visto! Non è però quel che mi aspettavo! E’ l’ultima persona che mi sarei mai immaginato di vedere: sono io adesso, vecchio e anonimo. Il secondo me stesso mi prende per mano e mi invita ad alzarmi, con un dolce gesto del braccio. Mi aiuta nell’operazione, poi stringe forte le mie dita, per condurmi verso la fine del prato.
Il viaggio è appena iniziato.

Trasformare il quotidiano in arte

Grande successo a Orientamenti 2013 per il convegno “La grammatica della fotografia”

Dimenticatevi la foto come semplice ricordo da comodino, l’immagine intesa come un banale souvenir da appendere al frigorifero. Al Salone Orientamenti di Genova, giunto alla sua decima edizione, Silvia Ambrosi, storica fotografa de “Il Secolo XIX”, ha tenuto un workshop sul tema della fotografia.
«Se volete fare i fotografi dimenticatevi dei vostri impegni personali e siate sempre con la macchina al collo». Questo il  monito della Ambrosi, che durante il convegno ha mostrato numerosi scatti da lei realizzati in più di trent’anni di carriera, alternando sapientemente scene di fastosa quotidianità della “Genova bene” ad altre di  disagio e povertà dell’ “altra Genova”, quella degli invisibili e dei meno fortunati, creando un evocativo contrasto che ha stregato i presenti.

Durante la presentazione la fotografa ha dispensato vari consigli, specialistici e non, in modo che potessero essere fruibili per chiunque: «Le immagini non dovete scattarle tanto per voi, quanto per coloro che dovranno vederle. Dovete immedesimarvi nel lettore del giornale, in modo da potergli fornire, in una sola immagine, una panoramica dei fatti che andranno a comporre la notizia, cercando allo stesso tempo di concentrarvi sul particolare, in modo da colpire colui che poi la vedrà», prosegue la Ambrosi.

Ma la domanda rimane: che cosa rende una fotografia una «bella fotografia»? Ed è proprio su questo quesito che la fotografa sfoggia tutta la propria esperienza nel settore, dando una risposta inaspettata e intrisa di significato:«La cosa più importante è la luce, il modo in cui modella le forme del soggetto, in cui definisce la forma, senza nascondere le eventuali imperfezioni, perché sono quelle che raccontano la storia di ciò che si fotografa».
In fondo, come ha anche ricordato la Ambrosi, il termine “fotografia” in greco significa “scrivere con la luce”. E allora, perché non cimentarsi con questa forma di arte? Un motivo ci dovrà pur essere se, a più di 200 anni dall’invenzione della fotografia, continuiamo a scattare.

Oversharing: che cos’è?

E’ la piaga del terzo millennio, colpisce indipendentemente da età e sesso e provoca disagio anche a quelli che non ne sono affetti. Signore e signori, vi presento l’oversharing, il cancro dell’era social. Per oversharing si intende il disturbo ossessivo compulsivo che provoca un’irrefrenabile voglia di pubblicare sui social network (soprattutto Facebook) qualsiasi cosa passi per la testa e per il monitor del PC.
Fattori che aggravano la malattia sono applicazioni come Retrica e Instagram, siti web come ask.fm o quei dannatissimi giochini online stile Farmville.

Per rendere la spiegazione più semplice e comprensibile prenderò a modello Facebook, più conosciuto e soprattutto miglior luogo di osservazione del fenomeno dell’oversharing.

La patologia il più delle volte inizia a presentarsi al momento della registrazione, in forma più o meno grave.
La voglia di comunicare agli altri le azioni compiute nel corso della giornata cresce vertiginosamente, fino ad arrivare al primo ma già perverso status: “Oggi giornata tranquilla e poi stasera serata easy con la cumpa”. Da lì in poi la situazione precipita, il soggetto inizia ad apprendere le funzioni base di Facebook e non ce n’è più per nessuno. I post continuano ad aumentare proporzionalmente all’inutilità degli stessi, fino a lasciare la home degli amici virtuali intasata di stati, foto e registrazioni di cui nessuno sentiva il bisogno come “Boh…”, “Mi sto sedendo sul gabinetto”, “Sto tirando lo sciacquone”, geotag ai giardinetti sotto casa, foto di ogni oggetto presente nella propria abitazione e collezione di autoscatti che farebbe invidia ad un ufficio anagrafe.  L’unica possibilità per uscire dal tunnel, a questo punto, è l’eliminazione del proprio account seguita da un trapianto di cervello.

Ma la fenomenologia è uguale a tutte le età? La risposta è no. Se il soggetto in considerazione è vicino ai 40/50 anni, periodo in cui notoriamente la degenerazione cerebrale è già in corso (se non vi fidate cercate su internet), la situazione è ancora più drammatica, si ha un vero e proprio recesso all’infanzia, caratterizzato dalla feticistica ricerca di un manipolo di poveracci intrappolati anch’essi in quella malattia quale è l’oversharing. Ed ecco così comparire bacheche vandalizzate da  foto di gattini, immagini raffiguranti il proprio nome riproposto con migliaia di cornicette e font diversi e link presi da siti del calibro di socialdonnagossip.com o cuccioli.it, che svelano incredibili retroscena su importanti questioni come il matrimonio di Belen. A questo procedimento di condivisione virale fa seguito una fase di inclusione, che allarga il sopraccitato manipolo di poveracci, rendendo, quelle che un tempo erano vittime, carnefici, alla spasmodica ricerca del cucciolo più patetico (ma per loro tenero) presente sulla rete.

Ma non è finita. Esistono anche gli oversharers egocentrici, forse i più insopportabili. Normalmente vanno dai 14 ai 25 anni. Le uniche due cose che condividono sono la loro immagine profilo (“Cavolo, se ho 200 mi piace sulla mia foto profilo sono proprio un grande”) e le loro risposte alle domande di Ask.fm, solitamente fonte di grandi riflessioni filosofiche, del tipo “Stasera Covo o Albikokka? A me basta sbroffare”.

Un ultimo paragrafo merita di essere riservato a tutti coloro che tentano di rendere gli amici virtuali partecipi della propria vita sentimentale. Per quanto possano fare tenerezza ai primi post, dopo qualche giorno iniziano ad ispirare violenza, complice la mancanza di originalità. Nella maggior parte dei casi sono proprio le donne a rimanere vittime di questa infida deviazione dell’oversharing. Probabilmente non se ne esce neanche quando la propria vita sentimentale si sistema, siccome il lamentarsi dà appagamento e l’appagamento provoca dipendenza.

Facili ironie a parte, l’oversharing sta diventando un fenomeno piuttosto rilevante, a tal punto che le grandi aziende tecnologiche stanno conducendo indagini di mercato per capire quali siano i paesi che fotografano (e condividono) di più tramite il proprio smartphone. Ebbene, i dati sono tutt’altro che consolanti, specialmente per noi italiani: da una ricerca OnePoll commissionata da Samsung, risulta che in Europa gli abitanti del Bel Paese sono secondi solo alla Spagna per volume di condivisioni fotografiche sui social network. Addirittura è emerso che ogni minuto vengono scattate e caricate 3572 foto solo che in Italia!
Facendo due rapidi calcoli si può dire che ogni giorno pubblichiamo in media circa 5 milioni di foto sui social network. Dati da capogiro, soprattutto se si considera che questi dati sono destinati ad aumentare vertiginosamente. Il mercato si sta rapidamente adattando alla nuova tendenza social, e quindi non c’è da sorprendersi alla vista delle macchine fotografiche che integrano le opzioni di condivisione online delle foto. Ma, alla fine, una domanda rimane: noi italiani non abbiamo niente di meglio da fare che sprecare la nostra vita su Facebook? A quanto pare no.

Odone:«Valorizzare gli Erzelli»

Se il lavoro non va dal lavoratore, il lavoratore vada dal lavoro. Questo, in sintesi, il messaggio espresso da Paolo Odone, presidente della Camera di Commercio di Genova, intervenuto stamane alla decima edizione del Salone Orientamenti, presso la Fiera del Mare, alla conferenza “le prospettive della microeconomia proviniciale” del ciclo “il giornale in classe”, organizzato dal Secolo XIX
A introdurre l’incontro c’era Paolo Cavallo, giornalista del decimo nono, che ha espresso parole importanti riguardo il difficile futuro che attende la prossima generazione di lavoratori:« I giovani non sono molto valorizzati, addirittura sono costretti a fare delle rinunce e un ragazzo che è costretto a fare delle rinunce è davvero una bruttissima immagine». Piccolo riferimento al “muro dei post-it”, dove centinaia di ragazzi partecipanti a Orientamenti hanno lasciato scritto il proprio sogno:« I ragazzi sognano, sognano un lavoro, di fare qualcosa di bello nella vita, e soprattutto di fare qualcosa per cui hanno studiato. Sognano di lavorare all’estero. Purtroppo, però, molti di questi post-it finiscono con “ma questo è soltanto un sogno”».

Prende quindi la parola Odone, che ribadisce la propria volontà di recarsi nelle scuole a spiegare agli studenti come inventarsi un lavoro. Spazio particolare riservato alle cosiddette start-up, ovvero le idee innovative che possono creare un business redditizio.« Al riguardo, si sta cercando, con le Camere di Commercio, di ricavare fondi da privati che credono nelle start-up».
Odone prosegue ricordando un punto essenziale per trovare lavoro più facilmente:«E’ fondamentale l’apprendimento delle lingue, oggi più che mai. Inoltre, attualmente, c’è la possibilità di imparare da soli le lingue tramite internet e altri mezzi tecnologici. Sarebbe un delitto non studiarle».

Frecciatina finale ai docenti di Ingegneria, definiti “pigri” dal presidente della Camera di Commercio di Genova, in quanto girerebbe voce che:«gli insegnanti non vorrebbero la facoltà agli Erzelli siccome  preferirebbero non muoversi da quel di Albaro, dove quasi tutti parrebbero risiedere». Erzelli che, oltretutto, sono la sede dell’Istituto Italiano di Tecnologia, struttura che potrebbe collaborare con l’Università di Genova, dando preziosi spunti sia agli studenti sia ai ricercatori.

Luca Pizzimenti – lucap95@tiscali.it

Cartone animato dei Radicali a favore del referendum per liberalizzazione delle droghe leggere

Il canale Youtube dei Radicali Italiani ha messo in rete da poche ore un video, dal titolo “Droghe: la legalizzazione illustrata agli adulti”, che in tre minuti spie

ga i benefici di un’ eventuale liberalizzazione delle droghe, liberalizzazione oggetto della campagna referendaria “Cambiamo Noi”, promulgata proprio dal partito di Marco Pannella. Attenzione però, il referendum, qualora raggiungesse la quota necessaria di 500.000 firme, andrebbe a rimettere nelle mani dei cittadini la decisione di abrogare il carcere per “i fatti di lieve entità” legati alla droga, ma verrebbero mantenute le salatissime sanzioni amministrative da 3000 € a 26.000 €, previste anche per il semplice consumo. Riprendendo le parole del video, “legalizzare” (anche se si tratta in tutto e per tutto di una “depenalizzazione”) sarebbe sinonimo di guadagnare, almeno per lo stato: infatti i Radicali stimano incassi di almeno 8 miliardi di euro l’anno, “soldi sufficienti per costruire trenta ospedali o per comprare sessanta F35”.

Nel video non mancano caricature di Fini e Giovanardi, coloro che nel 2006 hanno inasprito le pene per i reati correlati alle droghe, equiparando giuridicamente droghe leggere, come la marijuana, a droghe pesanti, come l’eroina. Compaiono anche riferimenti a Portogallo e Olanda, stati Europei che con la legalizzazione hanno visto scendere sensibilmente la percentuale di consumatori di droga.
Inoltre, il cartone animato riporta alla mente la decisione della Camera dei Deputati uruguaiana, che da qualche settimana ha approvato la decisione di rendere la Marijuana monopolio di stato, decisione che è stata presa per fronteggiare l’ormai irrefrenabile criminalità legata allo spaccio. Nel frattempo Pannella e i suoi stringono i denti per il rush finale della campagna referendaria. Chiunque volesse aderire alla campagna può recarsi nel Comune della propria città per firmare, oppure cercare il banchetto più vicino a casa propria sul sito web http://www.cambiamonoi.it .

 

IL VIDEO:

Luca Pizzimenti